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lunedì 7 dicembre 2020

Addio a Lidia Menapace: pacifista, staffetta partigiana e testimone della Resistenza

L'ex senatrice ed ex partigiana aveva 96 anni. Una vita unica dedita all'impegno civile e politico, dalle staffette all'elezione nel consiglio provinciale (la prima donna a riuscirci), passando per il femminismo ed il pacifismo. Da alcuni giorni era ricoverata per Covid nel reparto di malattie infettive dell'ospedale di Bolzano.

Lidia Menapace è stata nel 1964 la prima donna eletta in consiglio provinciale a Bolzano e la prima donna in giunta provinciale. L'attivista del movimento pacifista e femminista dal 2006 al 2008 è stata senatrice di Rifondazione comunista. Ma lei è sempre stata “Bruna”. Il suo nome di battaglia da partigiana. Se l'era preso tra i monti che tagliano in alto l'aria pulita del lago Maggiore, tra la Valsesia e la Val d’Ossola, dopo l'8 settembre. Aveva detto di sé un po’ di tempo fa: «Mi posso dimettere da tutto ma non da partigiana». È stata di parola Lidia Menapace. 

La ribelle
Ribellarsi è un verbo che sta bene su Lidia. Da antifascista, da cattolica, da comunista. Soprattutto da femminista: «Noi donne che ci ribelliamo, trasgrediamo, usciamo dalle case, parliamo tra di noi, ci organizziamo. La nostra politica è liberazione».
Prima a scuola Lidia Menapace, prima all'università, una delle prime staffette combattenti nel '43. Prima donna eletta in Provincia, nel '64; prima ad entrare in giunta provinciale, da assessora al sociale e sanità, e vicepresidente con Magnago. Era democristiana allora. Terminerà la legislatura nel gruppo misto perché il vento del '68 non poteva lasciare, per lei, le cose come stavano. Esce dalla Dc "per non far violenza alla mia coscienza". E poi Pci, il “Manifesto”, il Pdup, Rifondazione ( di cui sarà senatrice tra il 2006 e il 2008), il femminismo. Sempre in cerca di nuovi orizzonti di libertà ma pronta a pagarne il prezzo. Nelle fotografie appare con lo stesso viso senza fronzoli e con gli occhi dritti in avanti sia che avesse alle sue spalle durante gli interventi dei primi anni '60 De Gasperi e Don Sturzo in effigie sia che si stringesse serena accanto agli occhi blu di Lucio Magri nei '70. «Io , giovane socialista - dice Toni Serafini- ci scherzavo, alla fine dei sessanta: guarda che io sono molto più a sinistra di te, che ancora stai coi cattolici... Ma la sua conversione di allora non è neppure lontanamente paragonabile a quelle di oggi. È stato un viaggio dentro la sua coscienza e la sua cultura». E che cultura. 

Una vita d’impegno civile
Nasce il 3 aprile del 1924, a Novara, papà geometra “di tradizione mazziniana e illuminista senza saperlo" scrive , raccontando la sua vita Pierpaolo Dalla Vecchia, che le è stato vicino fino al ricovero. E mentre studia al liceo Classico Carlo Alberto già passa ore in biblioteca e a dar lezioni di latino e greco. Quando si prenderà la laurea, nel dopoguerra, alla Cattolica, sarà con lode in Letteratura italiana. A 21 anni. Prima, c'era stata però la scelta antifascista, dentro le associazioni cattoliche che, come la Fuci, la propugnavano esplicitamente. E la guerra partigiana, le missioni di assistenza e di collegamento. Il 25 aprile, rivelando già una personalità senza compromessi, rifiuta qualifiche ( di sottotenente delle formazioni partigiane) e benefit economici. Una scelta di vita: fino a ieri teneva sempre il gagliardetto dell'Anpi in salotto e il fazzoletto tricolore in piazza.

Lidia a Bolzano
A Bolzano ci arriva anche per amore. Sposa nel '51 Nene Menapace, medico e qualche anno dopo Lidia insegna sia allo Scientifico che al Classico.È allora che entra nella Dc, naturalmente tra gli amici della sinistra interna. Ci resta finché non può più resistere ai richiami del '68, entrandoci dentro come in un vento di passioni: «Sentivo - dirà - questo richiamo di grande rinnovamento teorico, il rinnovamento della sinistra». La scelta marxista, dopo il “disagio di stare con la Dc”, è tutta dentro la politica ma filtrata da una cultura, quella sua, sempre in movimento. Anche a costo di essere costretta ad interrompere la sua carriera universitaria alla Cattolica dopo la pubblicazione di un manifesto in cui motiva la sua scelta. L’approdo è il Pci ma quella forma partito le sta presto altrettanto stretta che quella democristiana degli anni giovanili. Inizia la stagione della sinistra in cerca di una nuova patria-partito. È tra le fondatrici del Manifesto accanto a Rossanda e Castellina. Nel 1984 dice no alla decisione di far confluire il Pdup nel Pci e fonda l’Mpa ( movimento politico per l'alternativa), viene eletta l'anno dopo consigliera regionale nel Lazio per la Sinistra indipendente, poi, infine, con Rifondazione a Palazzo Madama. In Senato riceve anche un po’ di voti, come ricorda Pierpaolo Dalla Vecchia, quando si sta eleggendo il nuovo presidente della Repubblica. 

Il femminismo
Ma l’altro fiume in piena che la accoglie e ne forma la poetica umana oltreché politica più insistita, è il femminismo. Una adesione colta e nello stesso tempo istintiva, meditata ma inevitabile, quasi biologica. Di carattere. Nel 1972 pubblica un libro “Per un movimento politico di liberazione delle donne”. Un manifesto esistenziale. Combatte per la legge 194 sull'aborto, entra nel comitato per i diritti civili delle prostitute. È un percorso di una coerenza geometrica. Già durante la guerra e nella Resistenza, infatti, Lidia era entrata a far parte dei “gruppi di difesa della donna”, poi nel secondo dopoguerra, l'Udi e i movimentati congressi degli anni Ottanta. Poi il pacifismo. Altra scelta che si innesta in quella femminista.
A Bolzano, negli ultimi tempi, raccoglie nel suo salotto un piccolo cenacolo fatto anche di giovani e sta sempre vicina all’Anpi. Ha vissuto così le passioni della politica di oggi, con gli stessi occhi accesi. E quando si discuteva, si toglieva gli occhialini, e ti guardava che non potevi scappare: dovevi stare lì a dimostrare quello ciò che dicevi.





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